Angelo Pezzana mi accoglie nel suo appartamento proprio sopra la storica
libreria “Luxemburg” nel cuore di Torino. Già fuori dalla porta, lo zerbino con
una scritta in ebraico (“benvenuti”) introduce gli ospiti a una delle grandi
passioni di Angelo, quella per Israele.
E in effetti, una volta entrati, si resta affascinati dalle
testimonianze, artistiche e icastiche, di una vita che, tra affetti e cultura,
militanza e viaggi, libri e riconoscimenti, è tutta percorsa sul doppio binario
della militanza per la causa LGBTI e quella per Israele.
Angelo mi mette subito a mio agio e quasi dimentico di confrontarmi con un
pilastro della cultura italiana, l’antesignano della lotta per i diritti civili
a cui le associazioni e i movimenti LGBTI in Italia devono molto.
Angelo, parliamo dei primissimi
anni di attività, quella della tua libreria (La Luxemburg, ndr) e poi di quelli
immediatamente successivi, della presa di coscienza –personale e collettiva- e
della voglia di impegnarsi. Erano anni di grande movimento, quelli della fine
degli anni ’60, di passioni e rivoluzioni…
In effetti io sono cresciuto in quel contesto culturale. Chi mi ha
aperto a una visione del futuro è stata Fernanda Pivano, quando ha scritto la
prefazione di Jubox all’Idrogeno, di
Allen Ginsberg . Quando l’ho letta ho capito che la cultura della quale facevo
parte era niente rispetto alla mia vita vera, e anche grazie alle serate
passate a Milano con lei –anzi con la Nanda come la chiamavamo- ho capito che
la mia strada era quella. Poi ho anche capito di non avere alcun problema a dichiararmi
omosessuale… Oltretutto avevo una libreria internazionale, aperta nel ’63, dove
c’era di tutto, anche letteratura gay americana. Da lì ho anche capito che
dovevo fare qualche cosa per contribuire a cambiare la società. Non è vero che
per essere liberi basta fregarsene del prossimo… no, si vive in una società che
è organizzata in un certo modo e quindi devi o inserirti - rinunciando a te stesso- o cercare di
cambiare almeno un po’ il contesto in modo che tu possa essere te stesso,
insieme agli altri.
Quando penso a quel periodo che
non ho vissuto, ma imparato dai libri e dai film, mi immagino una mentalità gay
in cui si fosse fieri di una propria unicità proprio perché non ci si conformava
ai canoni “borghesi”. Noi abbiamo
“la fortuna” di essere gay, di non poterci sposare, di non avere figli insomma
di poter rivendicare un’identità quasi “rivoluzionaria”-si sentiva dire
allora. Oggi mi sembra che non ci sia
traccia di tutto ciò, anzi si mira ad avere tutto quello contro cui prima si
combatteva…Erano quindi solo degli alibi quei vecchi slogan?
Ti faccio un esempio che riguarda il linguaggio. Se devo raccontare
una storia che riguarda la guerra civile americana devo parlare di “bianchi” e “negri”,
non c’era il termine “afro-americano”. Magari premetto che non lo userei mai
oggi. Allora concetti come LGBTI, l’orgoglio gay… dimentica tutto questo: noi
eravamo ancora alle parole “pederasta”, “invertito”…i più colti usavano il
termine omosessuale, qualcuno diceva “frocio” da quando la parola era
cominciata a circolare in qualche film, romanzo, (con Pasolini cominciò a diffondersi).
Non avevamo alcuna dignità personale, a partire dalla lingua. I “gay”erano
quelli americani. La prima rivista americana che io ho visto era “Gay Sunshine”
quella che aveva già capito l’importanza del Movimento alla quale ho anche
collaborato.
Immagino che tra gli stessi
omosessuali allora non ci fosse una condivisione o un appoggio unanime nel
creare un Movimento omosessuale.
Tutt’altro. C’erano gli omosessuali che ci dicevano “siete pazzi?!
Volete fare un movimento?! Non siamo mai stati così bene, guardate indietro
cosa c’era prima...”In parte era anche una questione generazionale, noi avevamo
25/30 anni, loro ne avevano 50/60. Una “sindrome da prigioniero”, una prigione dove
tu affittavi un alloggio, non ti dovevi dichiarare, ma vivevi nascosto. Per
incontrare un’altra persona o avevi una faccia tosta incredibile o ti
nascondevi nei cinema, nelle ultime file, nei gabinetti pubblici, nei
giardinetti la sera. Un contesto in cui ti sentivi un “fuori-legge”, ma non perché
ci fosse una legge contro: era la società che non ti permetteva di essere te
stesso. Allora, per prendere coscienza di tutto questo la letteratura veniva in
aiuto: nei primissimi anni 60 c’era Marcuse, c’era Laing contro le strutture che
opprimevano (la famiglia, la società…). In effetti, alla maggior parte dei
genitori, anche quelli bravi, tu non glielo dicevi... Mio padre è morto che io
avevo 25 anni quindi non abbiamo potuto fare discorsi “da adulti”… con mia
madre è stato diverso, capì come vivevo e come volevo viere. Vivevamo in una
casa dove lei era al secondo piano e io in mansarda e dove ho vissuto 5 anni
con il compagno senza che lei notasse nulla. Semplicemente non erano discorsi
che si affrontavano…
Quindi in Italia non c’era alcun movimento
omosessuale. Com’è nato il F.U.O.R.I.!?
No, il movimento omosessuale è nato nel ‘71 e l’occasione è stata
questa lettera-recensione fatta da uno psichiatra, che oltre tutto era un mio
cliente, una persona mite: Feltrinelli aveva fatto una collana che si chiamava
“franchi narratori” e i primi tre volumi erano, per i tempi davvero rivoluzionari.
Uno era il diario di uno psichiatra che raccontava di un suo paziente
omosessuale da lui “curato” e alla fine era “diventato” etero … Allora, un
argomento come l’omosessualità, in un libro curato da un grande editore come
Feltrinelli era qualcosa di impensabile. Io ero molto amico di Feltrinelli -era
convinto in buona fede che far parlare di queste cose, non importava come e
quando, fosse importante. Io ho letto quel libro –tra l’altro ero e sono
tutt’ora amico del protagonista, la cui
famiglia aveva obbligato ad andare da uno psichiatra. Questo farabutto aveva registrato
le sedute senza il permesso del paziente, che però, non potendo venire allo
scoperto, non osò ribellarsi. Allora io scrissi una lettera a la Stampa dove criticavo
non tanto l’autore quanto il titolo che era “L’infelice che ama la propria
immagine”: quando ho letto quel titolo non ci ho più visto… la lettera era
firmata anche dai miei amici e scrissi che era ora di finirla con queste
dimostrazioni di ignoranza, culturale e scientifica. Non mi rispose il
direttore, ma il segretario di direzione, dicendo che di questo argomento se ne
parlava già fin troppo e quindi, non pubblicando la lettera, si era deciso di
non dare adito “alla polemica che invece lei vorrebbe alimentare”. Mezz’ora
dopo avevo già telefonato a una ventina di amici, gay e non gay, dicendo che dovevamo
vederci e fondare il movimento di
liberazione omosessuale. La sera stessa a casa mia abbiamo fatto la prima
riunione. Era l’Aprile del 1971 abbiamo cominciato. Per il nome, ognuno ha
detto la propria, ci siamo riuniti a casa mia per decidere. Alla fine, ispirati
dagli slogan americani e dai termini veicolati dalle riviste, in cui si parlava
di coming out (“uscire fuori”)
abbiamo optato per FUORI. La parola è piaciuta subito a tutti, però coming out ha un significato specifico
che vuol dire: “uscire fuori dall’armadio”, “dichiararsi” mentre in italiano vuol
dire anche “per la strada”“fuori di per sé”. Allora abbiamo pensato a delle
parole che si attaccassero alle singole lettere, a mo’ di acronimo: F era
Fronte, U era Unitario (ammetto che essendo solo noi, faceva un po’ ridere, però…) O è
omosessuale. R non si sapeva bene. Poi a un ragazzo di Milano- che per altro
dopo quella riunione non si è quasi più visto- è venuta l’idea di chiamarlo “Rivoluzionario”.
Per quanto l’idea non fosse che si facesse la “Rivoluzione” , però a ben
pensaci, si trattava senz’altro di una rivoluzione culturale, nel costume.
Quindi nacque F.U.O.R.I., coi puntini;
non col punto esclamativo che è nato molto dopo.
Dove vi riunivate?
Fino al 1974 non esisteva una sede fissa: ci riuniva a turno nelle
case degli amici. Poi nel ’74 è diventata ufficiale la federazione del
F.U.O.R.I.! col Partito Radicale, che è
stata per noi una scelta naturale. Un gruppo di noi aveva già partecipato al
congresso del P.R. del ’72. Allora lo slogan era “ O mille iscritti o
chiudiamo” e noi siamo andati a vedere, ci siamo sentiti subito a casa e
abbiamo fondato una radio -Radio
Radicale che è nata a Torino- e nel ‘74 con la federazione ufficiale del
F.U.O.R.I.! col P.R. abbiamo avuto come sede quella radicale, in via Garibaldi
13.
Tornando a F.U.O.R.I.! quanti
eravate e quale era l’agenda?
Noi abbiamo cominciato che eravamo una ventina qui a Torino. Nel
Dicembre del ’71 è uscito il numero 0 del Fuori!: 1000 copie che ci siamo
divisi e, ci siamo messi a girare per l’Italia, le abbiamo distribuite dei
programmi di viaggio, subito nel dicembre del ‘71, le abbiamo distribuite, chi
a Milano chi a Bologna chi a Firenze…a Pordenone con Italo Corai e a Palermo
con Giuseppe Di Salvo. Andavamo nei posti dove si “batteva” come si diceva una
volta, negli incontri all’aperto per spiegare agli altri gay cosa stavamo
facendo. Di solito la risposta era quasi infastidita (“ma che ci frega, ma dai,
ci rovini la serata”). Per circa 10 giorni abbiamo girato buona parte d’Italia
e a chi si dimostrava interessato chiedevamo se se la sentiva di riunire i
propri amici e creare nelle diverse città un gruppo F.U.O.R.I.! E’ così che nell’arco di due
settimane ci siamo trasformati in un movimento nazionale con le sedi nelle case
dei militanti. Da lì abbiamo subito cominciato a organizzare congressi
nazionali.
Qual era l’agenda di fuori?
L’agenda era la visibilità e tale è rimasta fino ai primi anni ‘90.
Ancora alla fine degli anni ’80 molti gay non si dichiaravano. Noi avevamo adottato
la pratica dell’autocoscienza mutuandola dal movimento delle donne: ci
riunivamo nelle nostre sedi e ognuno raccontava il proprio vissuto con molta
sincerità per liberarsi da un peso che tenevamo dentro. Una pratica di
liberazione utilissima perché il risultato era la visibilità tra noi in primis e poi si rifletteva nel
bisogno di farla diventare pubblica.
Facevate letture, reading?
La parte culturale vera e propria è nata successivamente con la
fondazione FUORI nell’80 dove abbiamo cominciato a sviluppare iniziative
prettamente culturali. Ma prima ancora eravamo un gruppo che si riuniva per
raccontare le proprie esperienze, le più disparate, dai problemi sul posto di
lavoro al rapporto con i genitori…..
Vi ponevate la questione di influire sulla
politica?
Certo, noi chiedevamo di parlare nelle scuole, cosa difficilissima
allora… adesso tutto è cambiato in meglio, anche da questo punto di vista. Con
le varie amministrazioni di sinistra qui a Torino poi abbiamo avuto rapporti e
scambi ondivaghi: chiedevamo di utilizzare la Sala delle Colonne del Municipio
per organizzare degli incontri a tema, oggi si direbbe LGBTI. A partire dagli
anni ’80, con le iniziative culturali del FUORI abbiamo invece riscontrato un
atteggiamento molto positivo da parte degli assessori alla cultura, , attenti
alle nostre richieste –una novità rispetto ai soliti impiegati di apparato con
i para-occhi.
Come nasce la tua affiliazione al
Partito Radicale?
Io mi sono sempre interessato di politica, ma il Partito Radicale
lo seguii con particolare attenzione, per il suo accento posto sui diritti
civili e poi perché era un partito non filtrato da ideologie. Nel 1972 andai a
seguire l’XI Congresso del Partito Radicale che si tenne qui a Torino, nella
sede di Unione Culturale, il centro fondato da Franco Antonicelli con sede a
Palazzo Carignano. Sono rimasto molto colpito dalla totale libertà che vi
respiravo…a nessuno importava il particolare della mia omosessualità. Dopo tre
giorni di congresso, molto stimolanti, in cui capii che quello era il “mio”
partito, io ed altri amici ci siamo ingegnati per trovare una sede del partito
qui a Torino, cosa che facemmo nello studio di uno di noi. E da lì comincia la
mia “avventura” con il P.R. che finisce a metà degli anni ’90 quando poi smisi
di fare il militante per occuparmi a “tempo pieno” di Israele, cosa che
comunque facevo anche prima. Quando
Radio Radicale si trasferì a Roma, io avevo un programma ogni lunedì mattina dove
facevo la rassegna stampa di quello che i giornali stranieri dicevano di
Israele, si chiamava “Niente di personale”, poi è andata avanti negli anni,
cambiando nome.
Tutti i militanti del F.U.O.R.I.!
erano anche militanti del Partito Radicale?
A partire dal ‘72/’73 buona parte di noi lo era. Certo, non tutti.
Alcuni avevano lasciato perché consideravano il P.R. un partito riformista e
quindi contrario ai loro ideali rivoluzionari di “rottura” con le sovrastrutture
economiche e politiche. Credo che col tempo un 10 % dei militanti del F.U.O.R.I.!
se ne sia andato per questa ragione. Noi
abbiamo continuato con le nostre riforme civili perché convinti che solo
attraverso queste si potessero ottenere dei cambiamenti concreti. Alcuni hanno
creato diversi gruppi locali, in Lombardia, in Emilia Romagna, ecc… Alcuni erano
piccoli gruppi teatrali dove tra gli altri c’era anche Mario Mieli che credeva
nella scomparsa della mascolinità, ritenendo che l’uomo doveva “femminilizzarsi”.
Qual era il vostro rapporto con
la politica di allora, e come vi relazionavate con il mondo della sinistra?
Avevo amici, tutti di sinistra, molti con la tessera del PC che non
vedevano di buon occhio neanche la mia visibilità. Quando annunciai che presto
sarebbe nato il movimento di liberazione omosessuale alcuni di loro mi invitarono
a desistere dicendo che rischiavo di perdere la clientela della mia libreria:
“la sinistra non è ancora pronta”, dicevano, o “il Partito non ci ha detto
ancora niente su come bisogna pensarla su questi temi”. Io rispondevo che non
aspettavo certo il partito e oltretutto proprio questo scetticismo mi dava in
qualche modo la spinta finale ad andare avanti. E quanto alla libreria, se mai ho
perduto qualche cliente molti altri ne ho guadagnati. Un episodio emblematico è
quello della sottoscrizione per il Manifesto del ’72. In quell’anno il
giornale aveva indetto una sottoscrizione per diventare quotidiano e noi, che
guardavamo comunque con interesse a tutto quello che si muoveva a sinistra -anche nella speranza di poter vedere
l’”elefante” PCI smosso da iniziative interessanti- abbiamo deciso di
contribuire con una donazione, raccogliendo 172 mila lire- che allora era una
bella somma. Che delusione vedere che il Manifesto segnalò la donazione
scrivendo che proveniva da “un gruppo di Torinesi” omettendo la parola
“omosessuale” –come invece avremmo voluto! Insomma, anche per chi criticava
l’immobilismo del PCI la parola omosessuale rimaneva un tabù. Un altro episodio
emblematico è quando siamo stati invitati, tra gli anni ’60 e ‘70 dalla famosa
rivista di filosofia “Utopia”. Vollero allora conoscerci perché ritenevano che
rappresentassimo un segnale interessante
di come a sinistra qualcosa si stesse muovendo…(noi eravamo molto “di
sinistra” per le rivendicazioni che avanzavamo ) e ci dettero appuntamento da
loro a Milano. Quindi le nostra redazioni (Utopia e Fuori) si riunirono
insieme (c’era anche Mario Mieli, già molto conosciuto a Milano) e tra conversazioni dotte e filosofiche a un
certo punto io dissi che se mi fossi trovato nell’obbligo di lasciare
immediatamente l’Italia e la scelta fosse stata tra San Francisco e Mosca, io
avrei senz’altro scelto la prima. Loro, pur essendo critici nei confronti
dell’URSS, erano fortemente anti-americanisti (per loro era l’Amerika) e a quella mia affermazione
sono sbiancati tutti e hanno capito che noi non eravamo della stessa “farina”
con cui erano fatti loro. Ci siamo salutati e mai più rivisti. Questo per dire
che avevamo già le idee ben chiare su chi eravamo: libertari ma non rivoluzionari nel senso
tradizionale. E i fatti ci hanno dato ragione.
Come furono i rapporti con Arcigay?
Inizialmente i rapporti –se non altro politici- non furono buoni:
basti pensare che l’Arcigay era un’emanazione del PCI che fino a poco tempo
prima considerava l’omosessualità come una “deviazione borghese”. Inoltre noi
come Radicali eravamo molto avversati dal PCI a causa delle nostre battaglie
(diritti civili, divorzio, aborto) che toglievano loro molti voti... Inoltre
non aiutava il fatto che per lungo tempo l’Arcigay ha continuato a presentarsi
come l’unico movimento italiano cercando un po’ di cancellare le tracce del
passato…questo finche non sono arrivate le nuove generazioni dell’ARCI che
hanno potuto studiare la storia del movimento gay. Da qui in avanti sono stato
invitato varie volte dall’Arcigay a presentare i libri che via via pubblicavo e
parlare anche del F.U.O.R.I.! E’ insomma caduta l’idea del grande
movimento nazionale, sono stati riconosciuti anche tanti piccoli, importanti
movimenti nazionali, la rete degli avvocati, il gruppo dei genitori degli omosessuali,
le famiglie arcobaleno… ognuno si è ritagliato il proprio ruolo senza più
disconoscere o fare attività contro gli altri. Quindi oggi diciamo che ognuno
rispetta l’idea dell’altro e i rapporti sono molto migliorati.
Quando e come l’associazione ha
deciso di lasciare il passo a una fondazione culturale?
La fondazione FUORI è nata nell’’80 - all’inizio si chiamava Sandro
Penna- perché si avvertiva che il destino del F.U.O.R.I.! come movimento era arrivato alla fine. Questo
perché nessuno di noi lo faceva come “mestiere”, essendo tutti militanti. La
verità è che quello che il F.U.O.R.I.! poteva dare l’aveva dato: sia dal
punto di vista dell’attività dentro il Partito Radicale - partito nel quale
tanti hanno continuato a militare- sia come movimento LGBTI. E infatti dopo tre
anni, nel 1985, nacque l’Arcigay a Bologna. La fondazione è nata con l’intento di non disperdere la
memoria e il senso di quanto avevamo fatto con il movimento. Abbiamo quindi
cominciato a creare l’archivio, in parte con libri e documenti nostri. Poi con volantini
e manifesti, e tutto quello che abbiamo fatto come movimento: registrazione di incontri
politici, documentari; tutto nella sede di Via Santa Chiara 1 a Torino che è
diventata la sede della fondazione dall’86. Sede culturale e delle iniziative: vi
abbiamo fatto congressi, dibattiti, abbiamo coinvolto le istituzioni, le amministrazioni
locali, abbiamo organizzato convegni sempre a tema LGBTI. Negli anni ‘80 abbiamo iniziato
con un corso chiamato “La natura del pregiudizio”, a cui hanno partecipato
Fernanda Pivano, Goffredo Parise, Gaia Servadio e altri (hanno assistito tra
gli altri Paolo Poli e Franca Valeri). Gli atti di questo corso sono poi stati stampati da noi e distribuiti
da Einaudi.
Nel frattempo, arrivati alla sede
della Fondazione Fuori ci raggiunge Enzo Cucco, storico militante del F.U.O.R.I.!,
Direttore della Fondazione e Presidente dell’associazione del Partito Radicale
“Certi Diritti”.
Enzo: il bene fondamentale della fondazione è naturalmente il suo archivio,
che è unico in Italia. C’è una biblioteca che è sostanzialmente di saggistica
accumulata negli anni grazie soprattutto ai lasciti di Angelo. Poi abbiamo le riviste.
I giornali gay stranieri dell’epoca, degli anni ‘70: noi ne eravamo abbonati e
li abbiamo tutti qui. Abbiamo anche video; abbiamo piccoli fondi, ma molto rari
e specializzati, giacché si occupano tutti delle questioni LGBTI. Per esempio,
una cosa che abbiamo solo noi e gli inglesi, è la raccolta dei ritagli di
stampa. Dalla fine anni ‘60 a oggi, Angelo
ritagliava gli articoli dedicati alle questioni gay –(oggi si fa anche
in digitale). Questo significa che nel
corso degli anni abbiamo accumulato 60/70 mila ritagli di stampa. Non so che
valore possano avere da un punto di vista economico, ma da quello
storico-culturale hanno un valore enorme. Non c’è nessuna collezione al mondo
cosi monotematica e specializzata, a livello di rassegna stampa. Poi ci sono
materie “di grigi”, cioè pubblicistica che va dai dépliant e leaflets, insomma tutto ciò che non è né
libri né rassegna stampa. Soprattutto collegata ai primi anni del movimento per
l’effetto dello scambio che c’era allora tra la rivista Fuori, la nostra produzione,
e tutto quello che si faceva all’estero.
Quali iniziative avete promosso
con la fondazione?
Enzo: questo è il primo
compito della fondazione, conservare la memoria attraverso le sue testimonianze
e valorizzarle. Poi ci sono iniziative culturali, le più varie: presentazioni
di libri, di spettacoli teatrali, di compagnie danza; pubblicazioni di libri;
pubblicazioni di riviste. Nel ‘72 la rivista Fuori! è uscita in edicola 30 mila
copie e per 6 mesi è andato in tutte le edicole di Italia, poi ha continuato nel
formato “Quaderno” e infine abbiamo pubblicato una rivista Sodoma di cui sono usciti 5 numeri, fatto a formato di quaderno: una
rivista culturale, con nomi grossissimi che trattavano narrativa, saggistica
storica, saggistica non storica. Era l’unica voce del tempo che cercasse di
pubblicare qualcosa che fosse un po’ di più della semplice cronaca, che
offrisse un’opportunità di approfondimento e di ricerca sull’omosessualità.
Abbiamo invitato a Torino David Levitt e pubblicato George Mosse, che concesse
a Sodoma un’intervista sull’omosessualità e il Nazismo in Germania. Siamo stati
i primi a pubblicare il saggio di William Bartley III che è stato il riscopritore
dell’omosessualità di Wittgenstein (in Italia non si diceva che fosse omosessuale), così come abbiamo
pubblicato per la prima volta Simon Karlinsky e la “sua” storia della
repressione degli omosessuali russi pre e post rivoluzione. Lui è stato il
primo studioso che ha ricercato su questo tema e ha anche pubblicato su Gay Sunshine. Su Sodoma pubblicavamo le traduzioni dei suoi saggi. Sodoma aveva questa funzione di
ammodernamento, di “aggiornamento”. Abbiamo pubblicato inediti di Aldo Busi, di
Elio Pecora , di Sandro Penna -uno dei più grandi poeti del Novecento che
scriveva solo poesia a tema omosex. In questo senso si può dire che noi siamo
stati pre-monitori e pre-veggenti. Basti pensare che nell’Ottobre del 1980
abbiamo fatto un congresso in cui all’ordine del giorno c’era il matrimonio tra
persone gay e unioni civili…al nostro interno se ne discuteva da mesi. E anche per
questo Pannella - che era contrario al matrimonio- venne comunque al nostro
congresso di Torino. Noi siamo stati antesignani… L’attuale movimento si ricorda poco di ciò che fece il F.U.O.R.I.!
ma quelle di oggi sono le stesse battaglie che facevamo allora.
Perché tutto questo è avvenuto a
Torino e non altrove? Cosa aveva Torino di speciale?
Enzo: la mia impressione è che la scintilla è scoccata a Torino perché
c’era Angelo, c’era Carlo,c’era un gruppo di persone molto impegnate. Perché la
sua libreria (di Angelo) era il punto di riferimento della sociologia e della letteratura underground negli anni ‘60 e
‘70. Certo, quando poi è arrivato il terrorismo è cambiato tutto, già la prima
parte degli anni ‘70 era molto diversa da quella degli ultimi anni. C’è stato un
contesto favorevole, ma non era molto diverso da Roma e Milano.
So che qui a Torino state
portando avanti un’iniziativa interessante a favore degli anziani LGBTI….
Enzo: sì, abbiamo creato un’associazione che si chiama Lambda che si dedica all’assistenza di persone anziane LGBTI.
Assistenza a domicilio, ovviamente, dato che non ci sostituiamo ai servizi
comunali: facciamo solo affiancamento e accompagnamento, un modo per rompere
l’isolamento e fare compagnia. E’ il futuro del movimento omosessuale perché è
una questione di numeri: la popolazione invecchia e invecchia anche la comunità
di persone LGBTI con le loro specificità e le loro esigenze..
Noi abbiamo proposto un progetto al comune di Torino per avere una
struttura con una reception e sotto i servizi comuni quali cinema, lavanderia,
sale per gli incontri, biblioteca... Eravamo riusciti a mettere insieme Comune,
Regione e Provincia ma ci dissero esplicitamente che non sarà mai dato un soldo pubblico per
la residenzialità dei gay perché questi non rappresenterebbero una fascia
debole. Purtroppo essere gay non è per le nostre pubbliche amministrazioni un
punto a favore di progetti per la residenzialità. Solo per la residenzialità
temporanea. Ma la residenzialità temporanea può andar bene, ad esempio, a un
ragazzo che scappa di casa, non certo a una persona anziana. All’estero le cose
funzionano ben diversamente: in
California hanno creato bellissime case di riposo per omossessualiche tuttavia
hanno il limite di attirare i più facoltosi. In Europa invece ci sono alcune
esperienze interessanti, a Berlino e Madrid. Si è deciso di affidarsi a un
sistema di cohousing“misto”, dove vengono accolte non solo persone
anziane, ma anche giovani scappati di casa, rifigurati politici per
omosessualità o famiglie con bambini: insomma una piccola comunità LGBTI che
avrebbe anche il vantaggio di rendere meno “triste” l’esperienza di permanenza
alle persone anziane.
Angelo: da notare che le esperienze citate (Madrid e Berlino) sono
iperfinanziate dagli enti locali e dai governi, con centinaia di migliaia di
euro. In Israele ci sono ottime strutture del movimento e anche di residenza, finanziate
dallo stato e dalle municipalità. La popolazione invecchia –tutta la
popolazione - e aumentano i singles in
una società che deve porsi il problema di come gestire il problema. Tutte le
esperienze di cohousing dovrebbero essere
benvenute, non solo quelle dei confronti dei gay. Nell’ottica di realizzare un welfare
di prossimità, occorre guardare specificatamente ai bisogni dei segmenti
sociali: quindi ci si accorgerà che gli anziani LGBTI hanno delle esigenze
specifiche.
Angelo, tu hai fatto politica in
prima persona, essendo stato eletto deputato per il P.R. nel’76. Oltre a te c’è stata la voglia di fare politica
attiva all’interno del F.U.O.R.I.?
Angelo: poco a dire il vero… Io avevo avuto questa spinta grossissima nel
‘76 da parte di Marco Pannella perché quell’anno fu lui a mettere capolista in
tutta Italia solo donne e poi, secondi, gli omosessuali. Ha trovato me
disponibile, mentre per altri nel ‘76 ancora non c’era questa sicurezza di
esporsi, fare comizi nei teatri, dichiarandosi apertamente. Io l’ho fatto e
sono arrivato secondo, a Genova -neanche a Torino (dove ero il terzo). Il mio
primo comizio fu al Teatro Carignano nel ’76. Qui dovevo fare un
lungo discorso sulla condizione omosessuale, ricordo che il teatro era
pienissimo... in realtà avrò parlato in tutto 7/8 minuti: ero bloccato, ho
detto delle cose molto emotive ma anche molto applaudite.
Come nasce il tuo legame con
Israele?
Angelo: avevo cominciato a interessarmi alla Storia degli Ebrei. Quando ho
cominciato a leggere i libri di storia ho capito la funzione storica della
Chiesa cattolica, l’antigiudaismo prima e l’antisemitismo dopo, e questo mi
aveva molto colpito. Ricordo che a 16 anni (frequentavo ancora il Liceo)
scrissi una lettera all’Arcivescovo
della mia diocesi in cui chiedevo di
cancellarmi dai registri in quanto non volevo essere più cattolico, spiegando
di aver preso coscienza della storia millenaria dei crimini commessi dalla Chiesa…
ovviamente non mi ha mai risposto. Frattanto il mio interesse per l’ebraismo
cresceva in parallelo… non era tanto la religione ad interessarmi, quanto la
cultura ebraica in generale. Nel ’66 l’allora Rabbino di Torino mi propose di
studiare un po’ di ebraico in modo da poter comprendere meglio i contenuti
della cultura ebraica. Conobbi uno studente israeliano del Politecnico - come
ce ne sono molti anche adesso- che insegnava la lingua di Israele. Con lui ho studiato
un anno e mezzo ebraico. Poi irrompe la guerra dei Sei giorni (1967) e
naturalmente si interrompe tutto di fronte alla guerra: io vado a iscrivermi
tra i volontari (ricordo che l’impiegato responsabile delle registrazioni si
stupì che volessi partire non essendo ebreo) ma fortunatamente tre giorni dopo
la guerra finì e io rimasi a casa. Questo episodio ha segnato molto il mio
percorso verso Israele. Ripresi l’apprendimento dell’ebraico solo negli anni 80
quando ho cominciato a viaggiare
costantemente in Israele
frequentando anche un Ulpan (scuola di lingua).
Il tuo lavoro radiofonico di
allora è forse il prodromo di quella che è adesso la tua attività con
Informazione Corretta. Come nasce?
Angelo: Nasce nel Marzo 2001, un anno cruciale: vi fu il congresso ONU contro
il razzismo a Durban -in Sud Africa- che
invece si trasformò in un congresso razzista contro USA e Israele; è l’anno
dell’attacco alle Torri Gemelle a New York. E poi è l’anno della Seconda Intifada.
Informazione Corretta nasce insieme a Fiamma Nirenstein a casa sua a
Gerusalemme; ci chiedemmo cosa potevamo fare a favore di Israele. Abbiamo
deciso di utilizzare internet – e abbiamo fondato un quotidiano con alcuni collaboratori
che curavano la rassegna stampa dei giornali italiani per analizzare e
commentare come “i media italiani descrivono Israele, il Medio Oriente e il
mondo Arabo” (successivamente anche “il
terrorismo”). Ho lavorato a questo progetto assiduamente, dalle 6 del mattino in
poi per controllare cosa scrivevano i giornali. E’ un lavoro non di cronaca, ma
di “smascheramento” dei pezzi che sono palesemente scorretti o ideologicamente
distorti dal pregiudizio contro Israele e contro la verità dei fatti. Ci
occupiamo anche di questioni culturali ebraiche e abbiamo una sezione di libri,
consigliati e raccomandati.
Come spieghi questo doppio
binario che ho riscontrato spesso, tra l’impegno/attivismo per i diritti LGBTI
e l’attrazione per l’Ebraismo e/o l’ interesse per Israele. Ad esempio leggevo
che tra i fondatori del F.U.O.R.I.! c’era Mario Mieli, che era ebreo e anche
Alfredo Cohen...
Angelo: Mario Mieli non è stato tra i fondatori ma uno dei protagonisti, nel
’72, della prima manifestazione pubblica della causa LGBTI in Italia promossa
dal F.U.O.R.I.! Questa avvenne davanti al Casinò di San Remo, dove il 7
Aprile del 1972 un congresso di psichiatri si riunì per proporre una legge che
criminalizzasse l’omosessualità. Noi eravamo circa una ventina e siamo riusciti
a mobilitare altrettanti militanti provenienti da tutt’Europa. Lo scopo era
ovviamente boicottare i lavori del congresso e rivendicare il nostro diritto di
parlare per noi stessi, senza che un gruppo di psichiatri si arrogasse
l’arbitrio di giudicare cosa fosse giusto o sbagliato per gli omosessuali. Da Londra
venne Mario Mieli per conto della Gay
Activists Allience e da lì nacque una bella e duratura amicizia. Lavorammo insieme
alla redazione del Fuori! che usci dopo un paio di mesi, e dove lui per circa
due anni contribuì con i suoi articoli. Mieli era di famiglia ebraica, non
vivendolo però in maniera militante. C’era anche Alfredo Cohen, ma non era
ebreo... Cohen era uno pseudonimo, lui faceva l’insegnante e aveva timore che, se
si fosse saputo che era gay poteva avere ripercussioni nel suo lavoro… perché
in quegli anni dire di essere gay significava correre il rischio di essere
licenziati…Scelse il cognome di Leonard Cohen, visto che l’ammirava molto e che
tra l’altro scriveva canzoni… Alfredo diventò un cantante e poeta bravissimo, pubblicò
un album di canzoni e scrisse regolarmente su FUORI! Lo aveva molto apprezzato anche Franco
Battiato che lo aiutò nel suo primo e ultimo 33 giri. Lui poi ha lasciato la
scuola e si impegnò nel teatro. E’ stato il mio compagno di vita per cinque
anni.
Oggi che in Italia è finalmente passata
la legge sulle unioni civili, si può forse dire che la politica abbia fatto
propria una certa agenda dei diritti. Allora?
Angelo: no, allora non c’era niente… Semplicemente perché non esisteva la “questione
omosessuale”. Tutti dicevano che in Italia non c’era nulla legge contro i gay e
tanto bastava. Gli omosessuali potevano fare tutto ciò che volevano
–privatamente. Io dicevo che no, che fin tanto che non avessimo diritti certi non
eravamo niente. Mi si diceva che la sessualità non aveva mica bisogno di
diritti… era talmente difficile avere gli strumenti –anche concettuali- per
convincere gli altri dell’importanza di questa battaglia...si lottava per la
visibilità. Non pensavamo ancora al fatto che se avessimo avuto i diritti civili
avremmo avuto la reversibilità della pensione, avremmo potuto visitare il
partner all’ospedale, essere certi a chi lasciare i nostri beni …no, non
esisteva neanche la percezione di questi diritti, non l’avevamo ancora presa
nelle nostre mani, non era un tema su cui lavorare politicamente. Il problema
della persona gay nel quotidiano era quello essere visibile, omosessuale. Identità-Visibilità-Diritti.
Questa era la direttrice verso la quale ci siamo mossi dagli anni 90 in poi e
grazie a questo nuovo impegno oggi siamo arrivati alla legge sulle unioni
civili.
E oggi come la vedi sulla
questione dei diritti civili?
Angelo: trovo che questa legge pur essendo nata “monca”, a causa del tradimento
del Movimento 5 Stelle che l’ha boicottata al Senato, sia una grande conquista.
E sono convinto che se anche ci fosse un referendum sulla sua abrogazione noi
lo vinceremo, come ai tempi del divorzio, quando la maggioranza degli italiani
ha disubbidito alla chiesa.
Non ti sembra strano che alla
fine dei conti, la sensazione che si ha è che la legge sulle unioni civili sia
passata non in virtù delle decennali battaglie dei movimenti LGBTI, ma per il
momento politico propizio, dovuto alla forza di una senatrice (Cirinnà) e alla determinazione del Premier Renzi…?
Angelo: Se oggi il tema dell’uguaglianza dei diritti per le persone LGBTI è
diventato un tema politico per i media
nazionali è soprattutto grazie ai vari movimenti LGBTI. Abbiamo portato alla
ribalta un tema che prima era solo sussurrato e che adesso tutti discutono. Poi
bisogna anche riconoscere che il voto alla Camera dopo quello del Senato è stato
il risultato di un governo che ha saputo imporre la fiducia dando direttive
chiare su come votare. Il premier Renzi ha mantenuto quanto aveva promesso
nella campagna elettorale.
Visto che parliamo di politica voglio
sapere cosa pensi dell’assessorato alle politiche sociali ricoperto da Alessandro
Giusta, Presidente dell’Arcigay Torino, nella giunta 5 stelle dell’Appendino.
Angelo: Alessandro Giusta ha avuto molti rapporti con gli assessori delle
giunte precedenti. Oltretutto ha risposto a un invito da parte dell’attuale
sindaco Appendino, pur non avendo fatto campagna elettorale attiva per lei.
Inoltre si è dimesso da tutti i ruoli che aveva all’interno dell’Arcigay. Io
ammiro chi è ambizioso in politica e apprezzo la scelta di Giusta. E poi
Fassino non glielo aveva chiesto, non ha avuto questa sensibilità.
26)Da militante gay non mi sentirei
a mio agio a votare per un partito che ha impedito l’approvazione della
stepchild adoption nella legge sulle Unioni Civili...
Angelo: ma infatti io mi auguro che in Italia i gay non votino il m5s,
perché grazie al loro tradimento non abbiamo la stepchild adoption…quindi hanno
una colpa oggettiva…e ti chiarisce che razza di partito è…basta guardare un
comizio di Grillo...
Le persone omosessuali oggi ti
sembrano più o meno sensibili alla “causa LGBTI” ? Credi che la maggior parte
dei gay oggi si senta coinvolta per creare un modo migliore?
Angelo: la gente che legge e che studia è pochissima in Italia, anche nel
mondo omosessuale… Ritengo che ci sia un disimpegno fisiologico … Se tu pensi
che il rapporto Kinsey negli USA (1946) aveva stabilito che il 5% degli
americani aveva avuto almeno un’esperienza omosessuale, vuol dire che se
dovessero rifarlo adesso il dato lieviterebbe- e molto!-grazie al cambiamento
avvenuto in tutti questi decenni. In Italia ci sono circa 6 milioni di persone LGBTI,
una cifra importante e “spendibile”… sarebbe sbagliato pensare a un “partito
degli omosessuali”, ma con i numeri che abbiamo, potremmo rappresentare una forza
sociale nel Paese per la difesa di tutti i diritti civili… senza dimenticare
che il disimpegno fa parte della
democrazia. Chi vive in dittatura capisce che deve ribellarsi per avere la
libertà, quando invece uno nasce in un paese dove la liberta c’è già - che è
poi la cosa essenziale- c’è una naturale tendenza al disimpegno...
Il movimento LGBTI oggi,
singolare o plurale?
Angelo: Plurale, senza dubbio. In Italia ci sono movimenti e organizzazioni
dedicati a tematiche specifiche che ammiro e stimo moltissimo. Tutte le persone
LGBTI dovrebbero conoscerli e dare il loro contributo.
29)Queste realtà di oggi, rispetto
al F.U.O.R.I.! come ti sembrano?
Angelo: a parte gli argomenti che si sono “evoluti”, noi abbiamo fatto da battistrada.
La pista che allora noi abbiamo aperto oggi la percorrono in tanti. Mi piace
utilizzare questa metafora: noi abbiamo costruito l’impianto elettrico, chi è
arrivato dopo ha acceso la luce. E sono contento che siano in tanti oggi ad
accendere la luce, dopo che per 15 anni noi del F.U.O.R.I.! abbiamo fatto
gli elettricisti. E poi le cose cambiano, com’è giusto che sia…!