Oggi, a
oltre un anno di distanza dall’evento che ha segnato l’estate Italiana e che ha
fatto di Milano il palcoscenico di un evento internazionale di grande
importanza, sono forse maturi i tempi per un’analisi ponderata dei costi e dei
benefici che l’Italia ha tratto dall’esperienza EXPO.
L’entusiasmo
del pubblico è stato ribadito dagli oltre 19 milioni di visitatori (il numero
dei biglietti venduti risulterebbe in realtà maggiore) che hanno sfidato caldo
e file interminabili per ammirare i padiglioni dei vari paesi. E anche alla
luce di questi dati, gli organizzatori e il governo hanno proclamato il successo
dell’evento. Ma è stato davvero così?
Mettendo
momentaneamente da parte il numero dei visitatori soddisfatti, è inevitabile
che un evento di siffatta portata generasse e generi tutt’ora una forte
polarizzazione tra l’opinione pubblica, sviluppando due fazioni distinte: i Pro-Expo ed i No-Expo.
I primi puntano sull’ elevata affluenza all’evento e sulla sua
particolarità. Tramite il suo sito ufficiale, Expo ha evidenziato a più riprese
l’importanza dei 21,5 milioni di
biglietti strappati. Innegabile che Milano abbia beneficiato
della sua organizzazione, seppur forse non si sia verificato quel boom nelle
prenotazioni alberghiere che gli esercenti si aspettavano alla vigilia. Forte
l’accento posto anche sulle opportunità occupazionali offerte dal semestre, specie
per la fascia d’età giovanile (anche se molto si potrebbe dire sulle forme e
sui contratti di questi lavori).
Diametralmente opposta la visione dei No-Expo. Prima ancora del
suo avvio a causa dei procedimenti giudiziari che hanno riguardato alcune delle
ditte nei cantieri di EXPO. Inoltre, anche la presenza di numerose
multinazionali non è stata vista positivamente: Coca-Cola, McDonald’s, Nestlé, Eni ed Enel i principali bersagli della
critica.
Naturalmente non mancano le polemiche ex-post riguardanti i
bilanci che credo, più o meno surrettiziamente, continueranno ad essere
alimentati dai detrattori di Expo e del suo commissario, ora candidato a
Sindaco di Milano, Giuseppe Sala.
Ma non è su questi
aspetti che vorrei concentrarmi in questa sede, bensì vorrei analizzare le
ricadute sulle piccole e medie imprese dell’agro-alimentare italiano cui pure
l’ Esposizione Universale era dedicata. Riusciremo
a raccogliere «l’eredità immateriale», come l’ha chiamata il Ministro delle politiche agricole
Maurizio Martina, per affrontare le sfide globali legate ai
temi della manifestazione? O più modestamente
si è trattato di un momento di slancio del Made in Italy –in campo agro-alimentare-
, di confronto con i principali competitors internazionali, di occasione
per il rilancio delle tante piccole imprese che producono le eccellenze
italiane del cibo. O neanche questo?
In
questi mesi v’è stata una forte presenza del governo sul sito Expo, coi suoi
Ministri e con lo stesso Presidente del Consiglio. Giustamente, se si pensa che
il settore agricolo rappresenta per l’Italia il 27,9% del nostro PIL e che, nel
periodo compreso tra il 2004 e il 2014, l’industria alimentare ha visto
aumentare il valore del suo export del’83%, praticamente il doppio rispetto al
totale dell’export italiano. Il Ministro Martina, vero padrone di casa
dell’evento, ha effettivamente promosso diverse iniziative tese a rilanciare
non solo l’immagine ma anche le potenzialità degli operatori agricoli italiani.
Vorrei qui citare solo alcuni eventi che ritengo significativi in questo
consesso.
Non è un
caso che nel corso del semestre particolare interesse l’Italia abbia nutrito
nei confronti dei cluster (gruppi di paesi raccolti attorno la
produzione di un determinato prodotto) Cereali, Cacao e Caffè, prodotti di cui
l’Italia è il principale importatore. Sappiamo
come quasi 1/3 dei consumi agro-alimentari del nostro paese è coperto da beni
di importazione (mentre poco meno di ¼ di beni AA viene esportata) , e questi
riguardano principalmente i Cereali, Cacao, Caffè appunto. L’Interesse italiano
verso questi paesi esportatori è stato corroborato da una serie di business
to business che hanno riguardato non solo gli aspetti tecnici della
produzione e della coltivazione, ma anche aspetti più propriamente commerciali,
riunendo attorno a un tavolo produttori locali ed importatori, agricoltori
locali e nostrani consentendo in questo modo una condivisione di know-how,
su cui il nostro Paese ha effettivamente un valore aggiunto rispetto appunto
agli altri concorrenti del settore.
Significativo per l’attenzione posta sulla competitività delle nostre piccole
e medie imprese è stato il forum che ha riguardato le regioni italiane e
l’Unione Europea incentrato sul Programma di Sviluppo Rurale (PSR)
2014-2020: uno straordinario strumento
di incentivi e finanziamenti, che se ben sfruttato rappresenterebbe un efficace
stimolo alla
competitività del nostro settore agricolo. E tuttavia, proprio sull’accesso a
queste risorse pesa uno dei limiti strutturali del nostro paese, e cioè la dimensione
ridotta della maggioranza delle nostre imprese. Tra i soggetti sussidiati, 700 grandi aziende agricole
ricevono il 15% del totale dei contributi europei. L'8% degli agricoltori italiani ricevono il 50% dei sussidi.
L’80% delle aziende italiane non supera i 5 ettari (dati ISTAT). Un problema a
mio avviso fondamentale che frena di molto le capacità espansive del nostro
Export specie se messo di fronte e competitors molto più grandi e
industrializzati come quelli dei nuovi mercati dell’Asia. Su questo aspetto le
proposte elaborate sono state diverse, declinate secondo le esigenze dei vari
attori regionali -ora non entro nel
merito- ma mi sembra opportuno segnalare l’impegno del governo italiano a farsi
da garante per rinegoziare la soglia (verso il basso) di accesso per le imprese
ai fondo del PSR e dall'altro di facilitare la creazione di un polo logistico
che accentri la produzione, senza con questo andare a discapito delle
specificità e della qualità che fanno forte il nostro tessuto produttivo. Se mi
pare alquanto improbabile l’esito del governo italiano nel rinegoziare quanto
già pattuito con la Commissione Europea, più interessante è stato l’impegno del
Ministro Martina a provvedere a ulteriori stanziamenti da investire sul settore
agricolo. In questo senso va segnalato
positivamente il Protocollo d’Intesa tra Ministero dell’Agricoltura e Intesa
San Paolo, annunciato ad EXPO e recentemente realizzato per l’attivazione di un
plafond di investimenti dedicato da 6 miliardi di euro in tre anni per il finanziamento
di imprese e filiere produttive oltre a servizi finanziari ad hoc per le
esigenze dell'attività agroalimentare.
In terzo
luogo, altro importante segno lasciato da quest’ EXPO è stato il rinnovato
impegno alla lotta contro la contraffazione e l’Italian Sounding, cioè
l’imitazione di un prodotto, di una denominazione o di un marchio attraverso il
richiamo alla sua presunta italianità. (La «Mortadela Siciliana» in Argentina la
«Provoleta» toscana. E poi c’è il «Parmesan» australiano, con la garanzia
«perfect italiano» sulla confezione). Chi ha visitato EXPO forse ricorderà come al
padiglione Coldiretti fu allestita una curiosa mostra con tutti quei prodotti
finti-italiani che ahimè ricoprono buona parte degli scaffali soprattutto in
America e non solo. L’impatto della contraffazione e dell’Italian Sounding - cresciuto quest’ultimo del +180% negli ultimi
10 anni- è pari a 60 miliardi di euro,
circa la metà del fatturato totale del prodotto dell’industria alimentare
italiana (132 miliardi di euro). Due simposi sono stati organizzati durante
l’EXPO, sia dentro che fuori il centro espositivo, e sono state elaborate ad
hoc delle iniziative tese a sensibilizzare quei Paesi in cui ancora le
misure di controllo e di repressione si dimostrano alquanto “lasche”. Inoltre, un
“pacchetto di proposte” di lotta alla contraffazione sono state presente in
occasione dei diversi consigli informali dei ministri dell’agricoltura tenutisi
proprio sul sito espositivo. Proposte che vanno da nuovi accordi commerciali
tesi alla salvaguardia del marchio Made in Italy, fino a campagne di
comunicazione e il rafforzamento della difesa della proprietà industriale e
intellettuale. Queste misure basteranno? Sarebbe già positivo che venissero
implementate e messe in atto, ma già di per sé il fatto che se ne sia discusso
in un contesto così appropriato come EXPO e con un uditorio così vasto e
interessato al fenomeno è senz'altro un importante passo avanti.
Allo stesso
modo promettenti si sono rivelati tutta una serie di incontri bilaterali succedutisi
nel corso del semestre, in occasione dei National days di ogni paese
(praticamente uno al giorno): particolarmente importanti, dal nostro punto di
vista, sono sati gli incontri tra la delegazione italiana e quella russa ( per
il rilancio degli cambi commerciali dopo una serie di nefaste misure di
boicottaggio alla Russia che ha finito paradossalmente per penalizzare il
nostro paese) e quella con gli USA a seguito del prossimo Trattato di Scambio Transatlantico
(il TTIP) che cela, tra le importanti opportunità, anche una serie di
potenziali rischi per il nostro mercato nazionale. Tutti temi dibattuti tra il
nostro Ministro Martina e la controparte USA proprio a EXPO.
In
conclusione, credo che EXPO abbia senza dubbio rappresentato un fondamentale foro
di dibattito sui temi dell’agro-alimentare.
Al di là dei toni trionfalistici e dal valore taumaturgico attribuito a EXPO
per il rilancio dell’Italia nel mondo, resto convinto che proprio sul settore
agro-alimentare questi sei mesi abbiano effettivamente giocato un importante ruolo
di rilancio per il Made in Italy a
tutto vantaggio delle piccole e medie imprese che, pur tra le tante difficoltà,
tra concorrenza più o meno sleale, contribuiscono alla prima voce del nostro PIL e che fanno da apri-pista
dell’eccellenza italiana nel mondo. Spetta adesso alla politica far sì che il “capitale
immateriale” di EXPO (per citare il Ministro Martina) venga investito appieno
in Italia e all’estero. E soprattutto che gli impegni dichiarati dal nostro
governo in questi sei mesi per il rilancio del settore vengano confermati
e onorati.